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05 luglio 2018

È la scuola la sede della valutazione

I numeri dell’Invalsi presentati oggi [N.d.R.> 05 luglio 2018], colgono obiettivi di natura quantitativa che dimostrano, in primo luogo, che non ci sono particolari ostacoli di avversione pregiudiziale alle prove da parte delle scuole e dei docenti.

Quest’anno sono stati particolarmente apprezzabili numericamente per lo strumento utilizzato (Computer Based) – sottolinea Pino Turi – un metodo che si presenta moderno ed attuale che motiva maggiormente alunni e docenti.

È positivo che si sia sostituito il termine ‘somministrate’ con quello più opportuno di ‘erogate’. Gli alunni non vanno visti come pazienti o cavie di laboratorio.

Resta da capire la reale portata delle prove Invalsi che, se presentano qualche utilità per considerazioni generali, che possono aiutare le scuole ed i docenti a meglio definire le loro scelte didattiche educative ed amministrative, ci appaiono, invece limitate se vuole operare una valutazione di sistema.

Se, infatti, balza evidente che le classi, specie al sud e nelle isole, sono composte in modo da non assicurare le pari opportunità, l’insieme dei test nulla aggiunge alla valutazione degli apprendimenti.

Potremmo leggere il fatto di costituire classi con alunni provenienti da situazioni di vantaggio, rispetto ad altre al contrario più svantaggiate come una sorta di ‘chiamata diretta’ al contrario: questa volta ad opera delle istituzioni scolastiche. Un sistema inaccettabile che induce a conclusioni troppo severe e superficiali.

La comunità educante come noi vogliamo – sottolinea il segretario generale della Uil Scuola – la scuola statale, deve essere la sede della valutazione. È la scuola che deve valutare le diversità ed attuare un insegnamento individualizzato per sollecitare i diversi talenti presenti nella comunità.

La scuola comunità non ammette alcuna scelta: si capita, non si sceglie di starci. È di tutti, con uguali opportunità per tutti. Ecco perché – aggiunge Turi – siamo contrari ad ogni forma di scelta sia calata sui docenti, sia se rivolta agli studenti e ad ogni forma di omologazione.

È proprio questa la discriminante – mette in rilievo Turi – che ci fa essere critici sulla natura delle prove Invalsi che, inevitabilmente, finiscono per creare tendenze mode ed improbabili graduatorie che nella scuola di tutti e di ognuno bisognerebbe assolutamente evitare. Non si può assegnare a questi test – aggiunge – un ruolo principale di valutazione che, invece, deve restare nella comunità scolastica e nella competenza professionale dei docenti, sia nella dimensione individuale che in quella collegiale, per essere utile al miglioramento del sistema.

Il ministro è chiamato a fare le dovute valutazioni, anche in relazione al ruolo che le indagini Invalsi possono avere nell’azione didattica e di valutazione propria dei docenti.


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