Espressione autonoma approvata nell’Assemblea plenaria del 27/03/2019.

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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione
Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione
Assemblea plenaria del 27/03/2019
Espressione di parere autonomo su
Rapporto fra Scuola/Famiglia/Società

Premessa

Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione ritiene opportuna una riflessione approfondita sulla trasformazione che sta subendo il compito educativo della scuola nella percezione collettiva, considerata anche l’eco mediatica degli episodi di violenza che hanno riguardato e riguardano le scuole, con l’aggressione di dirigenti e docenti da parte di genitori e alunni.

Aggressività e violenza, di qualunque natura e provenienza, non possono essere tollerate in alcun contesto del vivere civile e in particolare nella scuola, importante e primario luogo di educazione sociale e civile, di costruzione di una visione della persona e della società, del suo “essere” ed “essere nel mondo” come soggetto attivo, responsabile, solidale.

Obiettivi raggiungibili soltanto con azioni congiunte di tipo istruttivo ed educativo in un luogo come la scuola, spazio pubblico dedicato alla formazione delle persone e dei cittadini che garantisce l’incontro e il confronto fra generazioni, l’elaborazione dei saperi e la trasmissione del patrimonio culturale di un popolo.

La normativa vigente in materia di Diritti e Doveri degli studenti (il decreto legislativo 297/94; lo Statuto delle studentesse e degli studenti, dPR 249/98, come modificato dal dPR 235/07) risulta strumento efficace ed equilibrato, pienamente in grado di delineare una corretta gestione degli episodi denunciati, fatta eccezione per quel “Patto educativo di corresponsabilità” tra scuola e famiglia che meriterebbe un ampliamento e una valorizzazione degli spazi di compartecipazione e co-decisione.

Il fenomeno più allarmante, e peraltro inedito, è quello che vede anche alcuni genitori degli alunni protagonisti di gesti e comportamenti offensivi e lesivi della dignità professionale e dell’integrità della persona del docente quale professionista impegnato nel difficile compito dell’educazione e dell’istruzione. In questo caso occorre che i dirigenti, gli uffici scolastici regionali e il MIUR si facciano parte attiva di iniziative puntuali di sostegno alla docenza e agli operatori scolastici colpiti da questi fatti inaccettabili, con azioni di denuncia sia sul piano civile sia sul piano penale.

Per tutti questi motivi e ragioni si rende necessario andare alla radice di tali episodi, individuarne le cause e delineare una strategia di ampio respiro e di medio termine in grado di eliminarli: non sembra assolutamente sufficiente, pertanto, il solo intervento psico-pedagogico, che certamente non risolve la complessità delle cause che sottendono agli episodi in esame.

Crisi dei modelli sociali e familiari

La società odierna registra un evidente indebolimento del tessuto valoriale che in passato ne garantiva la coesione. Tale fenomeno, anche se diversamente declinato come individualismo, relativismo o addirittura nichilismo, ha modificato le modalità di socializzazione rispetto al passato, assumendo la forma di quella che è stata definita iposocializzazione (debolezza e frammentarietà dei valori di riferimento assimilati dall’individuo). La scarsa socializzazione si accompagna ad altri fattori ormai fortemente presenti nella società italiana: un’adolescenza protratta, strettamente connessa ad una aspettativa di vita più lunga che in passato, genitori molto meno giovani, bambini con meno fratelli, tendenzialmente figli unici circondati da un mondo di adulti.

Tutto ciò favorisce modelli di socializzazione familiare spostati da un’ottica sociocentrica (che determina un individuo che ha l’opportunità benefica di interiorizzare un sistema solido di valori e regole) ad un’ottica puerocentrica che, privando il bambino di relazioni plurime e interattive, favorisce la formazione di personalità più egocentriche e narcisiste, fragili e incapaci di tollerare qualsiasi frustrazione. Ciò anche perché sono venute meno le occasioni di confronto tra pari in vari contesti liberi e autogovernati (il cortile, il quartiere, il campo di calcio, l’avventura in campagna), rimanendo ormai la scuola come pressoché unica agenzia socializzante.

Bambini e adolescenti “fragili e spavaldi” che non trovano più, al di fuori della scuola, luoghi della regola ma solo luoghi dove non sono più contemplati il “no” e la durezza dello scacco e del fallimento. Genitori che chiedono agli insegnanti di dire sempre di sì ai loro figli, come loro fanno in casa, senza far vivere mai l’esperienza della negazione. All’origine di ciò un modello di famiglia adolescente, dove il confronto fra generazioni non prevede più il necessario gioco di ruoli asimmetrici, quale è nella natura del rapporto fra minore e adulto, ma un deleterio rapporto paritario e amicale da cui è bandito lo scontro di visioni e di ruoli. E peraltro va sottolineato come, in determinate stagioni della nostra storia recente, la contestazione dell’autoritarismo non abbia mai comportato il disconoscimento tout court dell’autorevolezza di figure che hanno vissuto dinamiche intergenerazionali anche conflittualmente aspre ma comunque sempre costruttive.

Crisi del modello educativo

È in tale contesto che si colloca anche la crisi del modello educativo, dal momento che è del tutto evidente la discrasia che si manifesta nel rapporto tra il modello di formazione scolastica e le forme di socializzazione extrascolastica.

Occorre prendere dolorosamente atto che si è fortemente incrinato quel patto che implicitamente si era stipulato fra scuola e società quando i rapporti sociali e le condizioni materiali degli italiani (sia nella fase a dominanza rurale sia nella fase a dominanza industriale) erano tali da vedere nella scuola lo strumento non solo del sapere, ma anche della promozione sociale.

Da qui la consegna da parte delle famiglie alla scuola di bambini e adolescenti già predisposti al rapporto asimmetrico tra generazioni, maturato e introiettato fuori dalle mura scolastiche e proiettato con assoluta prevalenza all’acquisizione del sapere, come strumento di crescita personale e di riconoscimento sociale.

Nella nostra epoca di dominio della globalizzazione, con una conoscenza che appare alla portata di tutti, sembra perdersi il senso stesso del “fare scuola”, che rischia di apparire come un non-luogo, privo del vissuto di ciascuno, puro contenitore di ragazze e ragazzi con l’unico obiettivo del mero “custodire” evitando danni e incidenti.

Al disorientamento che colpisce la società riguardo al compito della scuola, fa da specchio quello della stessa scuola, dove si consuma il conflitto tra un modello di scuola selettiva e un modello che pone invece al centro la cooperazione e lo sviluppo delle competenze di cittadinanza.

Cresce quindi una percezione di scollamento e di isolamento che finisce per colpire tutti coloro che operano e frequentano a diverso titolo la scuola. Tutto questo rende necessario un ripensamento del modello formativo che si confronti con le nuove forme di socializzazione che caratterizzano la famiglia e la società.

Rapporto fra istruzione ed educazione nella società attuale

La scuola subisce oggi uno slittamento funzionale dovuto ai fenomeni sopra citati e da più parti si reclama un sovrappiù di presa in carico di problemi una volta tenuti fuori dalle mura scolastiche. Si aggiunge la percezione improvvida e culturalmente deleteria della scuola come luogo non più del sapere e della crescita civile della persona, ma come agenzia tenuta a dispensare un titolo, il che produce una crisi di identità e di autorevolezza della scuola e del personale che vi opera che occorrerà profondamente analizzare per contrastarne gli aspetti deleteri.

Occorre puntare su un modello pedagogico che poggi sulla cooperazione e su uno studio capace di rappresentare un’esperienza significativa per ogni studente. La scuola deve valorizzare l’impegno e riconoscere il merito, senza con questo alimentare una competizione sterile che esasperi quell’individualismo che sta sempre più diventando il segno distintivo della nostra società.

Si devono prendere in considerazione i nuovi mezzi di comunicazione sociale, delle nuove strumentazioni che, nel rappresentare un ulteriore ampliamento dei mezzi che la tecnica mette a disposizione della persona, determinano scenari nuovi e ancora da esplorare nelle ricadute educative, ove non si voglia acriticamente assumerli, come si tende a fare, come strumenti che di per sé potenziano la didattica, prescindendo da una preliminare verifica delle loro reali capacità funzionali in termini di istruzione e di formazione. Andrebbero messi al servizio dei paradigmi culturali attraverso il loro governo da parte degli operatori scolastici, per ricondurre il diluvio informativo cui danno accesso, agli statuti epistemologici delle discipline e dei saperi.

Occorre recuperare una modalità che renda possibile ripristinare una connessione virtuosa fra i compiti e le competenze della scuola e i compiti e le competenze sociali: rimanendo comunque prioritario, per gli operatori scolastici, il compito dell’istruzione e per la famiglia e le altre formazioni sociali, ma anche naturalmente della stessa scuola, l’educazione e la socialità.

Nella consapevolezza che, in coerenza con le diverse età della crescita, l’educazione è connaturata e contestuale all’istruzione, essendo quest’ultima la vera missione del nostro sistema scolastico che su questa finalità deve essere valutato.

Scuola come luogo aperto, non separato, ma protetto e ospitale

In questo quadro la scuola deve diventare sempre di più aperta, non più solo aperta ai genitori sulla base di regole chiare e condivise, ma anche alle comunità territoriali di riferimento ed alle altre istituzioni che insistono sullo stesso territorio. Deve diventare, cioè, il nucleo centrale di una costellazione di soggetti che con essa interagiscono e che rappresentano la comunità educante a cui ciascuno partecipa con i ruoli e le responsabilità che gli sono propri. Ma, nel contempo, essa deve essere un luogo protetto, seppur non separato, dal momento che deve connotarsi come luogo accogliente dove ciascun alunno abbia l’opportunità di essere protagonista del suo percorso di apprendimento per poter far emergere e poter promuovere il suo

essere persona e cittadino. Un luogo da proteggere perché possa attraverso l’istruzione educare, prendendosi cura anche della crescita emotiva dei propri studenti, perché non è possibile alcun apprendimento senza un coinvolgimento emotivo positivo.

Deve trovare attuazione la visione della scuola come soggetto costituzionale, bene comune, istituzione funzionale all’esercizio di un diritto sociale fondamentale della persona, quale è il diritto all’istruzione. In questo senso deve essere confermata la vocazione del sistema pubblico di istruzione di essere scuola di qualità, di tutti e di ciascuno, con pari opportunità, che garantisca a ognuno una preparazione e un’istruzione qualitativamente elevate.

Linee guida per un intervento delle forze politiche e istituzionali

Ri-prendersi cura della scuola

Non si può sottacere un dato che pare evidente: la rilevante sottrazione di risorse finanziarie alla scuola pubblica, ininterrotta fino a pochi anni fa, è stata interpretata come un disconoscimento della funzione della scuola, precipitata nella scala delle priorità politiche agli ultimi posti.

La mancanza di cura nei confronti della scuola, che ha portato in certi momenti addirittura a negarle perfino i fondi della normale funzionalità amministrativa e didattica degli istituti, ha inciso nella coscienza collettiva alimentando la solitudine dell’istituzione e dei suoi operatori. E tuttavia è innegabile che nonostante si sia allentata la considerazione sociale, risulta ancora forte la carica di credibilità che l’istituzione scolastica ha mantenuto nel corso degli anni.

Rilanciare l’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca sperimentazione e sviluppo

Per queste ragioni l’autonomia scolastica ha bisogno di essere rilanciata e sostenuta. Partita sotto i migliori auspici, scommettendo proprio sulla capacità del corpo docente di essere soggetto pensante e imprenditivo, è stata via via ridotta ad una mera autonomia amministrativa, con il compito per la scuola di sostituirsi agli organi centrali e periferici dell’amministrazione scolastica nel disbrigo di pratiche inerenti lo stato giuridico del suo personale, e non già come autonomia, didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo quale essa è e deve essere.

C’è bisogno di professionisti autorevoli in classe, disposti a consolidare la propria biografia professionale entrando in un circuito di formazione di qualità, permanente e di crescita culturale continua, in una logica che valorizzi le competenze, le scelte e le responsabilità in una dimensione collegiale solidale.

La società tutta deve ricominciare ad apprezzare la professione del docente chiamato a svolgereun lavoro ad ampio spettro. A definire le sue dimensioni concorrono le competenze culturali e didattiche che sono necessarie, la consapevolezza di assumersi la responsabilità educativa e la riflessività sul proprio agire che significa consapevolezza professionale.

Questo traguardo è ancora possibile, puntando soprattutto sulla terza dimensione dell’autonomia, quella di ricerca, sperimentazione e sviluppo, promuovendone l’attuazione con ogni mezzo, progettuale e finanziario. Occorre che ogni scuola instauri relazioni costanti con i Centri di ricerca, le Università, le associazioni professionali, per attivare e documentare ricerche che, migliorando le strategie della trasmissione culturale, della comunicazione, della relazione educativa, migliorino anche le competenze specifiche dei docenti e producano coinvolgimento pieno degli studenti e più alti livelli di apprendimento.

Ridefinire i modelli partecipativi e gli organi di governo

Il varo dell’autonomia scolastica, avvenuto ormai da quasi venti anni, aveva come presupposto la presa in carico degli aspetti amministrativi e organizzativi al di fuori della scuola, attraverso l’istituzione dei CIS e dei CSA (cosa mai avvenuta), e la riforma degli Organi collegiali. Anche questa seconda operazione non è mai stata avviata, nonostante vari tentativi, e il vuoto creato da questa mancata riforma si riflette anche nelle difficoltà che oggi scontiamo nei processi partecipativi delle famiglie e delle comunità territoriali.

È più che mai urgente offrire alle famiglie e alla comunità educante spazi reali e riconosciuti che possano contribuire alla proposta progettuale di istituto, e sappiano connettersi alla cittadinanza attraverso uno spazio di dialogo con l’istituzione scolastica. La scuola sempre più deve essere percepita come bene comune della comunità territoriale e non solo delle famiglie che temporaneamente la incontrano nel periodo della formazione scolastica dei loro figli.

Una valutazione di sistema sempre più orientata al miglioramento

È innegabile la stretta interdipendenza esistente tra “Autonomia scolastica” e “Valutazione dei risultati del sistema” che diventa un processo necessario per l’esercizio consapevole ed efficace delle funzioni organizzative, didattiche, di ricerca e sperimentazione annesse ad una autonomia riconosciuta come accettazione della diversità dei contesti operativi e dei metodi possibili di perseguimento degli obiettivi fissati a livello nazionale.

Infatti, la prima condizione per una corretta gestione dell’autonomia scolastica è che si sviluppi un sistema nazionale di istruzione e formazione unitario, in grado di garantire pari livelli essenziali di prestazione in tutti i contesti territoriali in cui si trovi ad operare.

In questa logica, valutazione e autovalutazione d’istituto diventano per la scuola dell’autonomia uno strumento essenziale per adeguare la propria attività agli obiettivi nazionali, attraverso piani di miglioramento che attivino un processo di sviluppo continuo.

Connettere le scelte per un sistema unitario

Il quadro delineato presuppone che gli interventi siano coerenti a ridare dignità e qualità alla scuola pubblica. I successivi e ulteriori interventi non sono di per sé risolutivi, tuttavia possono essere utili per rafforzare il concetto di scuola come bene comune e luogo primario di socializzazione e di relazione tra le persone.

In tale prospettiva, sostanziandosi il tema del rapporto scuola/famiglia/società soprattutto in riferimento alla sua qualità, frequenza, prossimità, è evidente che il primo e indispensabile intervento da mettere in campo è l’investimento in dotazione di docenza tale da ridurre il rapporto numerico alunni/docente.

Stante l’attuale normativa in materia, si vede il persistere di rapporti numerici sfavorevoli ad interventi individualizzati e personalizzati tali da consentire attenzione alle specificità degli studenti e interventi didattici inclusivi utili al miglioramento della qualità dell’ambiente d’apprendimento. Ancora persistono fenomeni di sovraffollamento nelle classi che possono arrivare al numero di 30 studenti o più, tali da favorire dispersione e difficoltà di controllo e gestione di una buona socializzazione nel gruppo classe da parte dell’insegnante.

La dimensione delle scuole autonome non dovrebbe superare i 900 alunni di media, secondo le indicazioni del Senato della Repubblica del 2011, per mantenere quel livello di comunità in grado di assicurare una gestione sostenibile e coerente con gli obiettivi formativi e soprattutto dando la possibilità a ognuno di riconoscere punti di riferimento.

Invece attualmente si assiste al diffondersi del fenomeno dei macro-istituti scolastici fino a 2000 studenti, talvolta dispersi in molti plessi minori su ampi territori (soprattutto negli istituti comprensivi); la situazione in atto non sempre permette un’adeguata presenza dirigenziale nelle scuole tale da consentire quella necessaria azione di controllo utile a contrastare fenomeni di bullismo e devianza e al contrario far sì che la leadership educativa del dirigente scolastico giochi il ruolo di coordinamento e gestione per creare quel clima di accoglienza e di condivisione delle scelte che favorisce relazioni positive tra tutti.

Il Consiglio ritiene importante riprendere alcune proposte già patrimonio di documenti del MIUR sulla dispersione scolastica e la povertà educativa:

 aumentare gli investimenti per rendere le scuole più sicure, accoglienti e inclusive facendone anche luoghi comunitari e partendo, possibilmente, proprio dai territori di massima crisi

nonché dalle aree interne spopolate;

 generalizzare la scuola dell’infanzia, aumentare fortemente la presenza di asili-nido e servizi per la prima infanzia e di programmi di sostegno alla genitorialità, in particolare per la fascia di età 0-6, nel Sud e nelle aree di maggiore crisi, nelle periferie urbane e nelle zone interne;

 sostenere le buone pratiche preventive, a partire da quelle molto precoci dedicate all'infanzia, che sono forti compensatori di diseguaglianza e dunque implementando, regione per regione, quanto dedicato dal Governo all'ambito della fascia di età 0-6 e così rafforzare la scuola d'infanzia ovunque e la formazione psico-pedagogica dei docenti immettendo negli ambiti del piano di formazione nazionale uno speciale focus su tale priorità operativa;

 porre attenzione alla formazione necessaria per la gestione delle relazioni con alunni e genitori, che richiede riflessione sulle pratiche a sostegno dell’attività individuale e collettiva dei docenti;

 estendere il tempo prolungato e pieno a partire dalle medesime aree evitando un ripetersi pomeridiano delle attività ordinarie integrandole, invece, sia con occasioni di apprendimento in ambito musicale, teatrale, dell’espressione grafico-pittorica, dello sport, sia con attività, per singoli e piccoli gruppi, per lo sviluppo delle competenze irrinunciabili con modalità che siano intese come “recupero”, capaci al contempo di intercettare le motivazioni;

 prendere in considerazione un piano per un’edilizia scolastica in sintonia con la concezione di scuola e di insegnamento che emerge dai bisogni delle nuove generazioni, dalle nuove metodologie della didattica, dalle necessarie forme di partecipazione;

 rafforzare le dotazioni di organico per docenti e personale ATA e il finanziamento per i CPIA, soprattutto nelle aree più difficili e favorire il loro coordinamento con la IeFP in forme flessibili capaci di intercettare le molteplici attitudini dei ragazzi.

Ma un nuovo e autorevole posizionamento sociale della scuola è legato anche a scelte precise nel campo delle politiche del personale, a partire da un effettivo adeguamento degli stipendi di tutto il personale scolastico, elemento non indifferente per un riconoscimento valoriale nel nostro sistema sociale. Temi che inevitabilmente coinvolgono anche le parti sociali e riguardano aspetti non marginali come:

 la possibilità del coordinamento e della progettazione condivisa tra docenti per adeguare il curricolo di scuola alle esigenze emergenti;

 la permanenza di docenti e di dirigenti scolastici nelle scuole ubicate nelle aree più svantaggiate del Paese, per farne il perno di politiche culturali di territori che spesso ne sono privi;

 la continuità del servizio e la riconoscibilità della proposta educativa, oltre che di istruzione, assicurando la stabilità del personale per tutte le figure (DS, DSGA, Docenti Educatori e ATA) operanti nell’istituzione scolastica;

 l’adeguamento del corpo ispettivo, selezionato su specifiche competenze, che possa supportare la ricerca, la sperimentazione e la valutazione, che sono il cuore e il senso dell’autonomia stessa;

 l’utilizzo ottimale delle tecnologie e dei nuovi linguaggi che oltre a garantire innovazione didattica riconoscano finalmente cittadinanza nella scuola ai modi di apprendere tipici delle nuove generazioni facendoli sentire portatori di abilità che la scuola riconosce loro. A questo scopo sarebbero utili specifiche figure esperte opportunamente formate per i diversi gradi di scuola.

A ciò si aggiunge la necessità, da parte dell’Amministrazione centrale e regionale, di un coordinamento funzionale della finalizzazione delle risorse finanziarie, comunitarie e nazionali.

Non solo di quelle ordinarie, ma soprattutto di quelle che dovrebbero servire per intervenire nel riequilibrio delle proposte formative. In questo senso i finanziamenti riconducibili ai PON, ai progetti nazionali, ad esempio quelli relativi alla legge ex-440/97, nonché ai vari Piani Nazionali, devono seguire le medesime direttive per evitare che vengano dispersi in mille rivoli, in alcuni casi duplicando azioni o addirittura contraddicendo scelte e indirizzi. La razionalizzazione di tali operazioni aiuterebbe le scuole a concentrarsi solo su quei progetti che implementano o rafforzano gli obiettivi indicati nel proprio PTOF, perseguendo così una ottimizzazione dei risultati con una contestuale economia di lavoro.

Interventi molteplici, certamente impegnativi e articolati, da inserire in una logica sistemica per ridurre la complessità e per recuperare attenzione, cura del benessere degli studenti e pieno sviluppo della primaria funzione educativa della scuola.

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Documentazione prodotta da>
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione
Parere CSPI
(27/03/2019) - Parere CSPI - Espressione Parere autonomo CSPI su “Rapporto fra Scuola/Famiglia/Società”


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Estratto

Fonte dei dati, informazioni, procedure e documenti sono reperibili presso siti web/portali, esterni, ai link»

MIUR
https://www.miur.gov.it
MIUR CSPI
https://www.miur.gov.it/cspi


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Link/siti
esterni
non
collegati

^ Fonte» MIUR_CSPI_Dcm_27mar19=RS_2019-0407
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