La capacità di adattarsi e di resistere ai cambiamenti climatici.

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Resilienza delle foreste:
così i
boschi di faggio italiani
si adattano al clima

Un recente studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e la libera Università di Bolzano ha fornito importanti informazioni sulla capacità dei boschi di faggio del nostro Paese di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico. La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha preso in esame un arco temporale di quasi 50 anni, evidenziando le strategie attraverso le quali le piante conservano l’acqua e reagiscono alla siccità

I faggi hanno la capacità di utilizzare in modo efficiente l’acqua a loro disposizione per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, adottando strategie diversificate a seconda delle condizioni ambientali in cui si trovano. E’ quanto ha messo in luce uno studio condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche attraverso l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom) di Perugia e l’Istituto per la bioeconomia (Cnr-Ibe) di Sesto Fiorentino (Firenze), condotto in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e la libera Università di Bolzano, che ha fornito importanti informazioni sulla capacità dei boschi di faggio in Italia di adattarsi e resistere agli effetti del cambiamento climatico.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha preso in esame siti sparsi su tutto il territorio nazionale nel corso di un arco temporale che va dal 1965 al 2014, utilizzando indicatori chiave come l’incremento dell’area basimetrica e l’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua per valutare la salute e la risposta di questi boschi ai cambiamenti ambientali. Spiega Paulina F. Puchi (Cnr-Isafom e Cnr-Ibe) prima autrice del lavoro: “L’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua è la quantità di carbonio assimilata come biomassa per unità di acqua utilizzata dalla pianta durante il processo di fotosintesi, valutato misurando la composizione isotopica del carbonio negli anelli annuali degli alberi. Se, durante un periodo di siccità, gli alberi chiudono i loro stomi per ridurre la perdita di acqua durante la fotosintesi, questo è segno di un aumento dell’efficienza intrinseca nell’uso dell’acqua, ma può portare alla morte della pianta a causa della carenza di carbonio nel lungo termine, perché, con gli stomi chiusi, l'ingresso del biossido di carbonio (CO2) necessario per la fotosintesi è limitato, e si riduce la capacità della pianta di produrre carboidrati e altre sostanze essenziali per la sua crescita e sopravvivenza. Viceversa, una diminuzione nell’efficienza intrinseca comporta un aumento nella traspirazione come meccanismo di sopravvivenza durante la siccità, ma può causare la formazione di bolle d'aria (embolie) nella struttura idraulica dello xilema, cioè l’insieme dei tessuti vegetali adibiti al trasporto di acqua e altre sostanze. Queste bolle d'aria bloccano i vasi dello xilema, interrompendo il trasporto efficiente di acqua e nutrienti all'interno dell'albero, con conseguenze negative sulla salute e sulla sopravvivenza a lungo termine della pianta”.

Strategie diverse che mostrano come le nostre faggete stiano affrontando la crescente suscettibilità alla mortalità a causa di siccità estreme e dell'incremento della temperatura, trends che nel corso degli ultimi decenni sono diventati sempre più evidenti. In particolare, aggiunge Giovanna Battipaglia, docente di ecologia forestale presso l’Università della Campania “L. Vanvitelli”: “I risultati mettono in luce la diversità delle strategie di utilizzo dell’acqua impiegate dai boschi di faggio per adattarsi alle diverse condizioni meteorologiche, così come la variabilità nella risposta alla siccità tra le diverse popolazioni analizzate lungo un transetto latitudinale della penisola italiana”.

Uno degli esiti più significativi riguarda l’identificazione di foreste che in apparenza risultano essere in buono stato di salute, ma nelle quali i ricercatori hanno rilevato segnali precoci di stress a seguito di eventi climatici estremi, come la siccità del 2003, segnali che indicano una perdita di resilienza in alcuni gruppi: l’effetto più drastico è stato rilevato in Trentino Alto Adige, dove si è osservata anche una maggiore riduzione della crescita degli alberi rispetto ad altri siti più a sud come il Lazio, la Campania e l’area del Matese.

“Nelle regioni meridionali prese in esame non abbiamo osservato una drastica riduzione nella crescita delle piante, come invece abbiamo rilevato in quelle settentrionali”, aggiunge Daniela Dalmonech (Cnr-Isafom). “Non solo: sempre al Sud è stato evidenziato un aumento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, suggerendo una migliore risposta di adattamento di questi boschi alle condizioni ambientali più estreme”.

Oltre a marcare un importante risultato dal punto di vista scientifico, la scoperta ha implicazioni significative per la gestione forestale e la conservazione della specie, non solo a livello nazionale. “In un mondo in rapida trasformazione climatica, comprendere i meccanismi di resilienza dei boschi di faggio è un primo step per sviluppare strategie efficaci, ad ampio raggio, di conservazione degli ecosistemi forestali. Questo vale per il contesto italiano, ma anche a livello globale”, conclude Alessio Collalti, responsabile del Laboratorio di Modellistica Forestale* del Cnr-Isafom e ultimo autore del lavoro.

La scheda

Chi: Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia (Cnr-Isafom); Istituto per la Bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Sesto Fiorentino (Firenze); Università della Campania “L. Vanvitelli” - Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali biologiche e farmaceutiche (Distabif); Libera Università di Bolzano - Facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari.

Che cosa: Articolo “Contrasting patterns of water use efficiency and annual radial growth among European beech forests along the Italian peninsula”, Paulina F. Puchi, Daniela Dalmonech, Elia Vangi, Giovanna Battipaglia, Roberto Tognetti & Alessio Collalti, Scientific Reports volume 14, Article number: 6526 (2024), https://doi.org/10.1038/s41598-024-57293-7, link https://www.nature.com/articles/s41598-024-57293-7*.

[* N.d.R.> Documentazione/ Link/ Indirizzi presenti nella nota CNR originale e/o disponibili sui siti segnalati **]

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Da/ Fonte/ Titolare»
CNR
Comunicato stampa 29/2024
Roma, 3 aprile 2024


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Estratto

Fonte dei dati, informazioni, procedure e documenti sono reperibili presso siti web/portali, esterni, ai link**»

Consiglio nazionale delle ricerche CNR
www.cnr.it

Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (CNR-ISAFOM)
https://www.isafom.cnr.it

Laboratorio di Modellistica Forestale (CNR-ISAFOM)
https://www.forest-modelling-lab.com/

Istituto per la Bioeconomia (IBE.CNR)
https://www.ibe.cnr.it/

Università della Campania “L. Vanvitelli”
https://www.unicampania.it/

Dipartimento di scienze e tecnologie ambientali biologiche e farmaceutiche (DISTABIF- Università della Campania “L. Vanvitelli”)
https://www.distabif.unicampania.it/

Libera Università di Bolzano
https://www.unibz.it/

Facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari
https://www.unibz.it/it/faculties/agricultural-environmental-food-sciences/


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Link/siti
esterni non collegati

^Fonte» CNR» Cmn_03Apr2024=RS_2024-043-04»
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< N.d.R.

» www.reporterscuola.it «
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